Assalto alla diligenza con 170 colpi di fucile: i dettagli del maxiblitz

Tecnica da action movie, mica dilettanti allo sbaraglio i “cerignolani”. La banda capeggiata da Antonio Braschi e Pasquale Saracino era telecomandata a distanza da Paolo Sorbo, la vera eminenza grigia (che purtroppo per lui fu costretto solo a immaginare le sorti della sua “creatura”), finito in carcere prima di poter assaporare il gusto della grande impresa. Ieri notte il blitz a Cerignola, una bellissima cittadina d’arte e cultura di circa 40 mila abitanti a sud di Foggia, dove il tasso di criminalità – sin dagli anni ’70 – è pari a quello di realtà più celebri come Casal di Principe e Corleone. Un avamposto della camorra napoletana prima e della Scu (la Sacra Corona Unita) poi, a metà strada tra il capoluogo della Capitanata e l’entroterra delle Murge baresi. In manette sono finite otto persone grazie a un’operazione coordinata dal servizio centrale operativo, una squadra di investigatori dell’intelligence della polizia formato da quattro squadre mobili (Foggia, Pisa, Firenze, Ancona), che nel giro di un anno (l’ultimo colpo della banda è stato sventato lo scorso 30 settembre) ha ricostruito le mosse da scacchisti di gente di collaudata organizzazione criminale, capace di sparare senza scrupoli a chiunque ostacolasse piani d’azione che ricordano i grandi kolossal americani, per logistica da 007 e cieca violenza da assassini.

ASSALTO ALLA DILIGENZA

Innanzitutto la preparazione: per dare l’assalto a queste moderne diligenze che sono le camionette portavalori, il commando si serviva di tre ferri particolari del mestiere. Armi (pistole, kalashnikov, fucili di precisione), seghe elettriche e soprattutto – udite udite – un migliaio di chiodi a quattro punte, seminati come le molliche di Pollicino sul tragitto autostradale che li avrebbe condotti a pochi metri dal furgone portavalori della Mondialpol. I chiodi venivano utilizzati per bloccare le auto di passaggio (per inciso: chi riusciva ad evitare la trappola veniva minacciato attraverso l’esplosione di alcuni convincenti colpi di pistola in aria). Non solo: per tenere libero il campo d’azione la banda effettuava manovre da stuntmen, piazzando un tir di traverso sull’autostrada con un’inversione a gomito e l’utilizzo di falsi lampeggianti e dispositivi di segnalazione con cui transennare definitivamente le strade e bloccare il traffico come in una normale operazione di manutenzione. Una volta isolato il furgone il commando cominciava a fare sul serio, assaltando il bottino viaggiante come gli outlaws nei fumetti di Tex Willer, pistola in pugno, fazzoletti alla bocca e abilissime mosse di accerchiamento. Ma tutta l’organizzazione avveniva mesi prima.

QUELLE STRANE VACANZE IN VERSILIA

Antonio Braschi è un cervello fine, secondo gli inquirenti avrebbe potuto fare l’ingegnere aerospaziale o l’architetto avanguardista per come faceva funzionare la sua intelligenza criminale. Freddo, cinico, lungimirante. Mesi prima aveva preso in affitto un appartamento a Tirrenia, sulla costa maremmana del versante pisano, un luogo di villeggiatura per le spiagge sabbiose e i locali di tendenza della Versilia. Pagamento con carta di credito in agenzia, valige e parenti al seguito, come una normale famiglia italiana in vacanza. In realtà Braschi stava allestendo la sua base operativa in loco, grazie anche alla presenza in Toscana – a Firenze – di Pasquale Matera, l’uomo all’Havana della gang, che conosceva dettagli e sfumature dei percorsi da battere per realizzare il colpo dell’anno, un portavalori che si muoveva su traiettorie ben precise e carico zeppo di guardie giurate e soprattutto di soldi. Tanti soldi, sei milioncini belli tondi tondi. Matera – coadiuvato da Gennaro Lorusso (che aveva il compito di seguire materialmente lo spostamento preciso del portavalori) – aveva studiato soprattutto il tratto autostradale Rosignano-Collesalvetti, in provincia di Livorno sulla A12. Il ring dove ingaggiare il match con gli uomini della Mondialpol sarebbe stato il lembo di strada in prossimità di Fauglia, nel pisano, il punto ritenuto da Matera morfologicamente perfetto per un intervento chirurgico.

TECNICHE DI FUGA

Il problema che si para davanti alle organizzazioni che meditano operazioni così complesse paradossalmente non è l’azione in se, che gioca sui fattori di tempo e imprevedibilità difficili da prevedere, ma è la fuga. La fase “x” in cui tutti gli anticorpi cominciano a mandare segnali di allerta e la macchina delle forze dell’ordine si mette in cammino. A gestire questa fase era Giuseppe Stefanelli, titolato al trasporto delle armi e di un tir messo a disposizione dell’organizzazione per recuperare gli elementi della banda dopo l’azione. E’ lui l’uomo che il 30 settembre alle 5.00 di mattina si infilò con il tir imbottito di armi, ricetrasmittenti e Jammer disturbatori di frequenze cellulari sull’autostrada Bari-Napoli per poi uscire al casello di Scandicci e unirsi ai compagni. E’ lui l’elemento che dopo l’assalto al portavalori ha il compito di cospargere gli interni delle auto di polvere da estintori per non lasciare tracce e rilievi biologici. E non è un dettaglio da poco, perché è proprio uno delle defaillance che costerà molto caro al battaglione cerignolano.

ATTILA, QUANTI ERRORI

Mai sottovalutare le fasi più “sciolte”, quelle che si possono fare anche da bendati, perché è lì che il diavolo ci mette la coda. Se ne rende conto un altro pezzo grosso della gang, Cosimo Attila Cirulli, colui che deve materialmente aprire lo scrigno con una sega elettrica che commette due errori fatali. Il primo è quello di non essersi liberato di una viacard trovata all’interno di una delle macchine. Da quella viacard si è risaliti alle immagini di videosorveglianza di un autogrill dov’era stata acquistata la scheda proprio da Cirulli. Secondo errore, quello fatale. Cirulli dopo il conflitto a fuoco con gli agenti della Mondiapol in cui vengono sparati 170 colpi di fucili AK 47 aveva involontariamente segato anche un tubo presente sul tettuccio del furgone blindato azionando il cosiddetto “spumablock”, un reagente che riduce i sacchi di denaro presenti all’interno della vettura blocchi di gesso. A quel punto tutti capiscono che il colpo è morto, non c’è più nulla da fare e si mettono in fuga. Parte la macchina investigativa, fatta anche di intercettazioni in carcere, con Stefanelli (terzo errore, ndr) che si mette a parlare dello scibile umano in ambientale, offrendo alla polizia l’ultimo tassello, i nomi, l’ultimo asso per lanciare sul tavolo il poker vincente e soffiare il piatto ai cerignolani. Un anno di indagini e game over per tutti.

Rocco Traisci