Storie che diventeranno film. Incontrando il regista Sepalone.

Quello del regista è uno dei mestieri più complessi e affascinanti nel mondo dell’arte, pericolosamente sospeso tra la cura del dettaglio e la visione d’insieme, tra la libertà della creazione individuale e le limitazioni del lavoro collettivo. Un mestiere in cui non esistono regole scritte, e per comprendere il quale non si può prescindere dall’insegnamento dei grandi maestri. Incontrando il regista foggiano Lorenzo Sepalone, reduce dal successo del cortometraggio “Ieri e Domani”, vincitore di 14 premi. Il trentenne Sepalone attualmente sta lavorando al film di docu-fiction “Civico 120” che racconterà, con delicatezza e rispetto, la tragedia avvenuta in Viale Giotto a Foggia nel 1999, al regista Sepalone gli rivolgiamo alcune domande:
Lorenzo quale credi sia la sfida da vincere per riportare il pubblico a guardare il nostro cinema? “Non credo che il nostro cinema sia poco attrattivo per il pubblico, anzi, ci sono innumerevoli film italiani di successo. Per quanto riguarda il calo delle presenze, nelle sale cinematografiche, oggi esistono nuove piattaforme distributive che consentono allo spettatore di guardare un film rimanendo a casa. Mi considero un cinefilo romantico e nostalgico quindi non riesco ad accettare questo fenomeno. Mi rendo conto, però, che non possiamo ignorare determinate innovazioni”. Entrando nel merito del tuo esordio registico, mi sembra che la formazione culturale e lavorativa tu rappresenti una eccezione rispetto alla tendenza del nuovo cinema che nasce e si sviluppa all’interno di un alveo realista e documentarista. “Personalmente non mi interessano – continua il regista Sepalone – le mode e le tendenze del momento. Sicuramente la parola “realismo” è tornata in voga. Anche io parto, spesso, da episodi reali per poi tradirli seguendo liberamente le mie emozioni, il mio stile, la mia poetica. Quando si parla di arte, faccio fatica ad utilizzare la parola “realismo”. Non credo di avere una cognizione universale della realtà. Non esiste una sola verità. Nei miei film c’è il mondo visto dai miei occhi, non c’è il mondo reale”.
Prima di continuare desidero chiederti in che modo sei arrivato al cinema e in particolare alla regia?. “Da bambino sognavo di diventare un  attore. Poi una notte vidi casualmente, in tv, un film,” Amarcord” di Federico Fellini e la mia vita cambiò. Avevo circa 12 anni e decisi che da grande avrei fatto il regista. Così iniziai a girare i miei primissimi cortometraggi casalinghi, senza soldi, con pochissimi mezzi, con tanta ingenuità ma con una grandissima voglia di sperimentare, di sbagliare anche e di crescere. Poi mi dedicai ad uno “studio matto e disperatissimo” del cinema e cercai di maturare progetto dopo progetto. Nel 2012 girai “La Luna è sveglia” che considero il mio primo vero cortometraggio”.
Stavo dimenticando di chiederti qualcosa a proposito delle tue infiuenze cinematografiche. “Cerco di percorrere una mia strada. Per me è ridicolo scimmiottare i grandi cineasti. I maestri si studiano ma non si imitano. Ovviamente le influenze sono inevitabili. Tantissimi film sono stati fondamentali per la mia formazione cinematografica. Registi come Fellini e Antonioni hanno condizionato moltissimo la mia idea di cinema”.
E per concludere. Nel tuo cinema la macchina da presa si muove con parsimonia e solo quando è necessario. Volevo chiederti appunto di questa necessità.
“Nell’arte come racconti è più importante di cosa racconti. Non amo la spettacolarizzazione gratuita delle immagini. La macchina da presa rappresenta il mio sguardo. Utilizzo inquadrature fisse quando sento la necessità di stare fermo ad osservare con occhi discreti. Muovo la macchina da presa per penetrare nelle emozioni dei personaggi. Quando nelle loro vite ci sono delle scosse emotive, o accadono cambiamenti improvvisi, utilizzo la camera a mano. Se invece voglio entrare progressivamente nell’anima dei miei protagonisti mi avvicino a loro con delle lente carrellate. Per me lo stile è fondamentale. Un movimento della macchina da presa può essere più eloquente di duecento parole presenti in un dialogo di sceneggiatura ‘. Con queste ultime frasi si conclude l’intervista al regista foggiano Lorenzo Sepalone augurando a lui un buon proseguimento di lavoro e con film sempre molto più interessanti.
Nicola Bruno.